Adelmo, figlio di uno dei fratelli Cervi: “Non hanno ucciso un mito, hanno ucciso mio padre”

di Redazione

Adelmo, figlio di uno dei fratelli Cervi: “Non hanno ucciso un mito, hanno ucciso mio padre”

| martedì 08 Giu 2021 - 15:47

Di Davide Nitrosi e Arnaldo Liguori

Quando muore un eroe, di solito, celebriamo la sua battaglia, il sacrificio che ha offerto, il peso che ha portato. Quasi mai, invece, pensiamo a quella parte intima della sua vita in cui ha lasciato silenzio e vuoto: al padre che lo ha seppellito, al figlio che non lo rivedrà.

Nel febbraio del 1943, un padre di nome Alcide Cervi ha seppellito tutti e sette i suoi figli. Erano contadini e partigiani. Torturati e fucilati nel poligono di tiro di Reggio Emilia da un gruppo di fascisti di Salò. Ammazzati senza processo, come rappresaglia. Colpevoli, come altri uomini in quei giorni, di aver tenuto la corda della libertà, e di averlo fatto a forza di aratri, libri e fucili.

Uno di quei sette fratelli si chiamava Aldo e il giorno della sua morte lasciava al mondo un figlio di appena quattro mesi. Il figlio si chiama Adelmo e oggi ha 78 anni.

Di lui stupiscono due cose. La prima sono tutti i chilometri che percorre ogni giorno in bicicletta, neanche avesse ancora vent’anni. La seconda è che suo padre, che non ha mai conosciuto, sembra avercelo dentro. Presenza assente e costante, ogni giorno. Perché quando si è figli di eroi, celebrati al punto da farne un racconto mitologico, c’è sempre chi ti ricorda che un padre, tu, non ce l’hai. Se non quello che ti sei costruito negli anni attraverso i racconti e le foto e il mito.

Di lui, Adelmo rimpiange una cosa, quasi banale: «Non averlo avuto vicino nei momenti difficili della vita». Forse per questo rifugge dal mito dei Fratelli Cervi: gli altri possono permettersi di santificare la loro immagine, di modellarla sulla scia delle correnti politiche, persino di imbastirla di retorica.

Lui no.

«Io non credo agli eroi – dice – credo ai combattenti. Loro hanno dovuto prendere le armi perché quando c’è la guerra, purtroppo, le discussioni non valgono più». Quando parla del 25 aprile, Festa della Liberazione, Adelmo un po’ si arrabbia. «Ci siamo addormentati! C’è chi ha dato la vita per combattere contro le ingiustizie e quando c’era bisogno ha sacrificato la sua vita fino alla fine. Oggi continuiamo a sentire dei piagnistei: “Basta, sono stanco, questa brutta politica è un disastro”. Quando invece c’era gente che ha dato tutto quello che aveva per portarci un po’ di libertà».

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