31 maggio 1979 – Il Governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, fautore di una maggiore vigilanza sugli enti creditizi, della trasparenza bancaria e dell’indipendenza dell’Istituto dal potere politico, invita nella sua ultima relazione a un “impegno collettivo per salvare il Paese dalla degenerazione morale ed economica”; pochi giorni dopo sarà costretto alle dimissioni per quello che si rivelerà il più pesante attacco politico alla Banca d’Italia, portato da magistrati romani vicini alla corrente DC di Giulio Andreotti e alla famiglia Caltagirone (al tempo indebitata per cifre ingenti con l’Italcasse).
Il Governatore è assurdamente incriminato per favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio insieme al suo amico e vicedirettore dell’istituto Mario Sarcinelli, che viene persino tratto in arresto: in realtà, l’unica colpa dei capi della Banca d’Italia è di aver preso di mira le banche di Michele Sindona, il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e la stessa Italcasse.
Baffi riceve solidarietà da ben 5 premi Nobel per l’economia, da varie personalità del mondo della finanza internazionale e da pochi politici italiani, tra i quali spiccano i nomi di Beniamino Andreatta, Enrico Berlinguer e Giovanni Spadolini.
Pur ovviamente prosciolto da ogni accusa, Baffi non accetterà mai più cariche in Italia, dichiarando di essere “fuori gioco da ogni missione pubblica e da ogni desiderio di incarichi pubblici”.