Le “menti raffinatissime” dietro l’attentato dell’Addaura
“Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi. Sto assistendo all’identico meccanismo che portò all’eliminazione del generale Dalla Chiesa (…). Il copione è quello. Basta avere occhi per vedere” (G. Falcone)
21 giugno 1989 – In una pagina ancora poco chiara della travagliata vita di Giovanni Falcone tra la fine del Maxiprocesso e il tragico epilogo di Capaci, il giudice scampa al cosiddetto attentato dell’Addaura, dal nome della località dov’era situata la villa affittata da Falcone per l’estate.
A tutt’oggi, non è dato sapere se l’attentato fallì per puro caso (il telecomando caduto in mare o un malfunzionamento del detonatore) oppure per l’intervento di agenti della Polizia o dei Servizi che disinnescarono la micidiale carica di esplosivo Brixia B5. Così come non è stato possibile appurare con certezza quanti gruppi – e di che natura – operarono in quei giorni intorno alla villa, eccettuati gli uomini di Cosa Nostra. Oltre alla chiara matrice mafiosa per cui sono stati condannati Totò Riina, Nino Madonia e Salvatore Biondino, altri fatti assodati sono:
Nella villa si stavano tenendo gli incontri tra Falcone e i giudici svizzeri Del Ponte e Lehmann, specificamente sul riciclaggio legato alla “Pizza Connection” (indagine precedente in cui la magistratura di Palermo aveva lavorato in concerto con l’FBI) incentrato sulla figura di Oliviero Tognoli, il riciclatore che per primo aveva confermato a Falcone l’implicazione di Bruno Contrada (alto funzionario del SISDE, in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) nel rapporto tra apparati dello Stato e Cosa Nostra.
L’artificiere Francesco Tumino, intervenuto a disattivare l’ordigno, fece sparire il timer; è stato condannato nel 1993 per la distruzione delle prove (aveva incolpato altri colleghi della sparizione, non sapendo di una telecamera della villa che lo riprendeva mentre occultava l’oggetto).
L’agente del SISDE Antonino Agostino, che stava investigando sull’attentato, fu ucciso con la moglie il 5 agosto successivo. Poche ore dopo, ignoti “uomini dello Stato” entrarono nella loro abitazione per trafugare gli appunti dell’agente. La richiesta di archiviazione del caso è stata respinta; sono tuttora sospettati i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto, oltre a Giovanni Aiello, detto “Faccia da mostro”, agente dei Servizi indagato anche nel processo Borsellino quater.
Un altro agente del SISDE sospettato di essere uno dei due sommozzatori visti di fronte alla villa, Emanuele Piazza, scomparve il 16 marzo ’90 dalla sua casa a Sferracavallo. Due settimane dopo fu ucciso anche il suo amico Giuseppe Genova, vigile del fuoco.
Le reazioni – L’attentato fu messo in dubbio da diversi settori della politica, della magistratura e della stampa, insinuando in alcuni casi il sospetto che si fosse trattato di un “auto-attentato” inscenato dallo stesso Falcone per farsi pubblicità. Tra i fautori di queste incredibili tesi, è doveroso ricordare i “seguaci del sindaco Leoluca Orlando” (secondo quanto riferito dal presidente dell’antimafia Gerardo Chiaromonte del PCI), i giudici Sica, Misiani e il colonnello dei carabinieri Mario Mori (in base a quanto stabilito dalla Cassazione con sentenza del 2008).
Le reazioni – L’attentato fu messo in dubbio da diversi settori della politica, della magistratura e della stampa, insinuando in alcuni casi il sospetto che si fosse trattato di un “auto-attentato” inscenato dallo stesso Falcone per farsi pubblicità. Tra i fautori di queste incredibili tesi, è doveroso ricordare i “seguaci del sindaco Leoluca Orlando” (secondo quanto riferito dal presidente dell’antimafia Gerardo Chiaromonte del PCI), i giudici Sica, Misiani e il colonnello dei carabinieri Mario Mori (in base a quanto stabilito dalla Cassazione con sentenza del 2008).