Milano, 5 apr. (askanews) – Mai come in questo periodo di restrizioni e distanziamenti lo spazio pubblico ha assunto la dimensione di spazio di socialità: mancata, desiderata, a volte sfiorata. E mai come in questo periodo l’arte si è fatta carico di ripensare e ricreare questo spazio pubblico, spesso attraverso il digitale, ma talvolta, come nel caso dell’installazione La Ferita dell’artista JR a Palazzo Strozzi a Firenze, anche nella dimensione reale e fisica.
"L’arte – ha detto JR – non è pubblicità, non c’è scritto da nessuna parte che cosa dovresti pensare o come dovresti comportarti. Io credo che questa sia la forza dell’arte, che solleva domande e non dà risposte".
Risposte che, invece, sta agli attori politici proporre e il ministro della Cultura Dario Franceschini ha ribadito, anche davanti alle commissioni parlamentari, l’impegno per valorizzare il contemporaneo, puntando sull’idea e sulla parola futuro.
"Arte contemporanea, architettura, fotografia, moda, design, industrie culturali e creative – ha detto il ministro – questo è un settore enorme, anche dal punto di vista delle persone, dei giovani, dei talenti, delle strutture, pubbliche e private. Credo che davvero, da questo punto di vista si debba affiancare alla tutela del passato anche un investimento sul presente e sul futuro".
Certo però, a volte il contemporaneo spiazza, disorienta, richiede uno sforzo di comprensione che, in un certo senso sembra creare una distanza tra il pubblico e le opere, sembra scavare un solco difficile da attraversare. Ma Matteo Mottin, brillante esponente del gruppo curatoriale Treti Galaxie di Torino, uno che di progetti d’avanguardia se ne intende insomma, ci ha offerto una possibile diversa lettura di questa distanza.
"Non c’è una barriera tra l’opera e lo spettatore – ci ha spiegato – in realtà è una nostra costruzione mentale, che deve essere superata".
E per farlo, per provare ad andare oltre il luogo comune della "difficoltà" del contemporaneo, Mottin ha scelto una strada che è anche una forma di pratica, in questo caso curatoriale e non artistica, ma che vive di una comune intuizione.
"Noi crediamo – ha aggiunto il teorico torinese – che la curatela sia l’occuparsi del tempo e dello spazio che stanno tra l’opera e lo spettatore, però nel farlo invece di utilizzare dei mezzi testuali, come per esempio un foglio di sala o un testo, noi cerchiamo di farlo attraverso un’esperienza".
Ecco la parola chiave, probabilmente: "esperienza". Termine scivoloso, si sa, esposto al rischio di operazioni banalizzanti, ma della cui essenza profonda l’arte di oggi non può comunque fare a meno e La Ferita di JR, per chiudere il cerchio del racconto, è esattamente un’esperienza artistica e politica profonda, in grado di parlare su molteplici livelli, senza rinunciare alla propria coerenza.
"Il fatto che la gente voglia andare a vedere, e in questo caso è un’opera all’aperto, gratuita per tutti su una strada – ha concluso l’artista francese – è molto importante per tutti i lavori sociali che faccio, perché rende l’arte completamente accessibile per chiunque".
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