Roma, 9 apr. (askanews) – La Cannabis terapeutica è da tempo riconosciuta in ambito medico-scientifico nella cura del dolore cronico ma resistenze burocratiche e culturali con le conseguenti difficoltà nel reperirla, ne impediscono l’utilizzo su ampia scala. In Italia sono circa due milioni le persone che potrebbero assumerla ma l’accesso al farmaco si ferma a poche decine di migliaia di pazienti.
Askanews ha intervistato il dottor Marco Bertolotto, Primario del Centro terapia del dolore della Asl2 Liguria. A Genova, la Cannabis terapeutica viene utilizzata anche all’Ospedale Gaslini per il trattamento pediatrico di importanti patologie come l’epilessia farmacoresistente.
"Dal 2014 ho iniziato a trattare pazienti e posso dire che l’esperienza è straordinaria. Sia dal punto di vista delle conoscenze che si vanno ad acquisire utilizzando un prodotto che è ancora poco conosciuto dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista umano perché cambia il paradigma del rapporto medico paziente nel momento in cui utilizzi, proponi la cannabis. Proprio perché deve essere seguito in modo diverso, devi personalizzare molto la terapia. E’ la medicina che cambia il suo modo di proporsi quando si parla di cannabis terapeutica".
Un utilizzo mirato quindi a combattere il dolore cronico: "Spesso quando parliamo di dolore cronico pensiamo ai malati terminali, al tumore, in effetti sono i casi in cui si utilizza meno la cannabis. Per dolore cronico intendo tutto il dolore cronico benigno, quindi artrosi, artrite, fenomeni autoimmunitari articolari, dolore neuropatico, cefalee. Quindi tutto il mondo del dolore cronico che rappresenta il 25% della popolazione adulta".
Alle resistenze culturali e burocratiche, lamenta Bertolotto, si aggiunge anche il problema della reperibilità del prodotto. A fronte di un fabbisogno stimato per difetto in almeno due tonnellate annue, infatti, l’Italia riesce a metterne a disposizione meno di 900 chilogrammi: "Basta autorizzare la produzione in Italia e chiedere che venga data un’autorizzazione di genere farmaceutico e di fstto per noi per la canna per uso terapeutico e per noi il problema sarebbe risolto. Ci servono alcune tonnellate di cannabis e ne abbiamo meno di quelle che servono. Questo spesso ci costringe a utilizzare questa proposta in modo sottodosata, in modo poco corretto rispetto a quello che si dovrebbe fare".
Attualmente la legge vincola l’Italia ad importare tali prodotti da un’unica azienda olandese, la Bedrocan. Askanews ne ha parlato con Alessandro Pastorino, Ceo di FL Group, una delle sei società che dal 2015 sono autorizzate all’import e alla distribuzione in Italia:
"Essendo che il numero di pazienti e anche di medici che affrontano questo tipo di percorso è in costante aumento, non si è riusciti a seguire in maniera proporzionale l’aumento della domanda con un offerta adeguata. Da allora (il 2015 ndr) il mercato internazionale è evoluto, si sono presentati nuovi canali, nuove opportunità, ma non è mai stato fatto un passo verso quel tipo di opportunità.
"Nel breve una delle soluzioni che questo mercato potrebbe proporre e che la nostra filiera potrebbe assorbire è sicuramente l’accreditamento a nuove forme di approvvigionamento ovvero, laddove abbiamo prodotti equivalenti a quello olandese, noi importatori non abbiamo la possibilità di accedervi perché c’è questo tema dell’esclusività di approvvigionamento dall’Olanda. Se vi fosse un cambiamento, anche nella visione, nella gestione della filiera anche da parte del ministero della Salute, ci si potrebbe affacciare a un discorso di disponibilità molto maggiore che è quello che avviene in Germania".
Un’altra strada percorribile per ovviare alla carenza sul mercato, spiega Pastorino, è quella dei cosiddetti semilavorati che garantiscono un’elevata quantità e standardizzazione del prodotto: "Quelli che vengono descritti come semi lavorati sono niente altro che estratti di cannabis, un derivato che dall’inflorescenza, dal fiore, dalla materia prima, viene preparato e oggi questo lavoro lo fa la farmacia ed è anche fonte di problematiche perché oggi la farmacia si trova a dover essere una piccola industria farmaceutica che deve fare un estratto, titolarlo e quindi certificarlo, fare un’analisi e rilasciarlo.
"Sul mercato, e in Germania sono già presenti, l’industria ha fatto passi avanti sono già disponibili dei prodotti estratti che sono certificati in conformità con le norme e che potrebbero essere come principio attivo impiegati dal farmacista in modo meno complesso.
"Laddove invece l’industria potrebbe già portare sul mercato un prodotto pronto all’uso per il farmacista quindi un prodotto diluibile in base alla prescrizione del medico ma senza estrazione, lavorazione e certificazione e perdita di standardizzazione si avrebbe un prodotto che su larga scala potrebbe garantire a tutti i pazienti la medesima posologia e la medesima qualità".