Noto come il “Prefetto di ferro”, funzionario governativo nato a Pavia nel 1871 e scomparso il 5 luglio 1942
Pur con metodi non sempre ortodossi, anzi, spesso particolarmente duri (da cui il soprannome), Mori era riuscito per primo ad ottenere importanti risultati nella lotta al fenomeno mafioso. Non si era fatto problemi neanche a perseguire (previo il consenso di Mussolini) sia l’uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, sia l’ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio. L’azione del Prefetto si rivelò in tutta la sua clamorosa efficacia fin dal primo anno sull’isola: nella sola provincia di Palermo gli omicidi scesero dai 268 del 1925 ai 77 dell’anno successivo, le rapine da 298 a 46, e anche altri crimini diminuirono drasticamente.
Molti mafiosi si videro costretti a emigrare negli Stati Uniti, per trovare riparo presso la Cosa Nostra d’oltreoceano. I vertici della mafia, in particolare le Famiglie delle Madonie, di Bagheria, Bisacquino, Termini Imerese, Mistretta, Partinico e Piana dei Colli, piegarono il capo sotto la stretta delle forze dell’ordine.
Altre cosche rimasero invece in stato di latenza fino al congedo di Mori, cogliendo l’occasione per rialzare la testa con lo sbarco alleato in Sicilia e ritornare a controllare le amministrazioni locali, proprio grazie all’appoggio dei vertici militari statunitensi.