Ciaculli, l’atroce epilogo della prima guerra di Mafia

di Jack Sentenza

Ciaculli, l’atroce epilogo della prima guerra di Mafia

| mercoledì 30 Giu 2021 - 00:01

30 giugno 1963 – A Ciaculli, borgata palermitana a sud-est della città, perdono la vita sette uomini appartenenti alle Forze dell’Ordine e all’Esercito, accorsi a disinnescare un’autobomba.

È l’eclatante finale della Prima guerra di mafia scatenata dal “Cobra” Michele Cavataio, capo della cosca di Acquasanta (come appurato anni dopo grazie alle testimonianze di vari pentiti e in particolare di Tommaso Buscetta). L’intenzione di Cavataio e dei suoi alleati Salvatore Manno, Mariano Troia e Antonino Matranga (capi delle cosche di Boccadifalco, San Lorenzo e Resuttana) era quella di frenare la spregiudicata ascesa dei fratelli Angelo e Salvatore La Barbera (rispettivamente capofamiglia e capomandamento di Palermo Centro) ai vertici della “Commissione” nata pochi anni prima in accordo con la Cosa Nostra statunitense.

Nel dicembre ‘62, approfittando della rivalità tra la cosca della Noce, capeggiata da Calcedonio Di Pisa, e quella di Porta Nuova, alleata dei La Barbera, Cavataio uccide Di Pisa facendo ricadere sui La Barbera la responsabilità dell’omicidio; La strategia del “Cobra” ha inizialmente successo, tanto che a gennaio ‘63 la Commissione guidata da Salvatore “Cicchiteddu” Greco, boss di Ciaculli, decide di eliminare Salvatore La Barbera. Anche Angelo La Barbera viene preso di mira ma sopravvive a due attentati finendo arrestato dopo il secondo (verrà ucciso in carcere nel ‘75).

Dopo una lunga serie di omicidi durante tutta la prima metà del ‘63, si arriva all’autobomba piazzata a Ciaculli, la zona di Cicchiteddu. A seguito di una telefonata anonima, una pattuglia di Carabinieri e un sottufficiale di Polizia trovano una Giulietta con le portiere aperte e chiamano una squadra di artificieri: tagliata la miccia all’interno, l’artificiere dà il cessato allarme, non sospettando di un secondo innesco nel bagagliaio. L’esplosione causa le sette vittime; sono i carabinieri: tenente Mario Malausa, maresciallo Calogero Vaccaro, appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli; il maresciallo di Pubblica Sicurezza Silvio Corrao; il maresciallo dell’Esercito Pasquale Nuccio; il soldato Giorgio Ciacci.

La vicenda provoca dapprima una forte reazione dello Stato contro Cosa Nostra, con oltre 2000 arresti, ma nel cosiddetto “Processo dei 114” i soli Angelo La Barbera e Pietro Torretta, capocosca della borgata di Uditore, scontano pene pesanti (anche Buscetta e Salvatore Greco vengono condannati a 10 anni, ma si danno alla latitanza). Tutti gli altri protagonisti ricevono pene minori, già scontate nella detenzione preprocessuale: ai tempi, il pur bravissimo giudice istruttore Cesare Terranova non ha ancora né mezzi né facoltà sufficienti per comprendere appieno la struttura della mafia siciliana.

Cosa fosse realmente avvenuto lo comprende invece proprio l’organizzazione mafiosa che, riorganizzata la Commissione, non tarderà molto a punire il Cobra. Un anno dopo il processo di Catanzaro, Michele Cavataio viene trucidato nella “Strage di Viale Lazio” per mano degli spietati killer di un mandamento emergente: Corleone.

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