L’effetto, insidioso, è quello di un nuovo “Grande Fratello”, questa volta su quattro ruote. È così che provocatoriamente il Washington Post definisce i moderni sistemi computerizzati istallati sulle automobili di ultima generazione. Il prezzo che pagano i cittadini è altissimo: queste automobili efficienti e sicure, silenziosamente raccolgono dati e informazioni degli autisti e delle loro famiglie. Un numero impressionante di americani – decine di milioni – è costantemente monitorato dalle case automobilistiche grazie appunto ai computer istallati nelle loro vetture.
Per le grandi case automobilistiche si tratta di una straordinaria banca dati che permette loro di accedere a preziosissime informazioni sulle abitudini dei propri clienti. Certo, la raccolta di questi dati è stata autorizzata dai soggetti che hanno acquistato le automobili: una minuscola riga nel paragrafo dedicato ai servizi li ha legalmente avvertirti. La firma del contratto ratifica l’accordo e il gioco è fatto. Monitorando gli spostamenti, spiega il Washington Post, è infatti possibile risalire ad una serie di fondamentali (ed utili) indicazioni sulla vita privata dei soggetti: come guidano, quanto carburante consumano, ma anche quali sono i posti che frequentano più ricorrentemente, quali sono i momenti ricreativi che prediligono, dove fanno la spesa, quali cibi amano mangiare.
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Secondo gli esperti, le nuove automobili dotate di sistemi computerizzati sono in grado di conoscere abitudini e comportamenti delle persone più di quanto faccia uno smartphone. Il solo pensiero fa rabbrividire. I produttori si difendono. Secondo loro, questo sistema migliora le prestazioni dell’auto ed ovviamente la rende più sicura. L’obiettivo è quello di ridurre incidenti, furti e fatalità, spiega il Post. Entro il 2021 il 98% delle macchine in Usa e in Europa sarà connesso come recentemente anticipato al salone dell’auto di Detroit. Interrogate, al momento però le compagnie non sono in grado di rendere conto sull’utilizzo specifico dei dati raccolti.
Se in passato le informazioni acquisite dai computer di bordo restavano nelle “scatole nere” delle auto, ora esse vanno a finire in rete. È quanto spiega Lauren Smith che si occupa di queste questioni per il Future of Privacy Forum. A preoccupare gli esperti della privacy sono ovviamente i dati relativi alla localizzazione dei cittadini.
Pam Dixon, direttrice del World Privacy Forum, sottolinea quanto tutto ciò sia insidioso: “La maggioranza delle persone non si rende conto di quanto siano radicate le proprie abitudini e come il modo in cui parcheggiamo e il luogo possano raccontare cose di noi”. Informazioni appetibili per privati e governi. Nel 2014 in una lettera alla Federal Trade Commission, le case produttrici si sono impregnate a non condividere questo tipo di notizie con terzi senza il consenso degli automobilisti. Era stata la General Motors nel 1996 a garantire che “la compagnia non raccoglie o usa dati personali dei clienti senza consenso”.
Politiche simili utilizzate anche da Ford. La situazione resta comunque preoccupante per gli esperti. Ryan Calo, professore associato di diritto legato al mondo informatico e robotico presso l’università di Washington, è molto chiaro: “Non solo i produttori di automobili raccolgono molti dati, ma essi non hanno un regime specifico che regoli come lo fanno”. Calo però ammette che sino ad ora le case automobilistiche sono state piuttosto collaborative cercando comunque di rispondere all’esigenza di privacy dei clienti. Inutile però negare quanto forte sia la tentazione di utilizzare un giorno, per i propri fini, una mole di dati che ogni anno diventa più consistente.
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