Roma, 22 dic. (askanews) – Porre concretamente al centro la lotta all’antibiotico-resistenza, puntando su diagnostica rapida, nuovi antibiotici e task force multidisciplinari. Sono queste le azioni contenute nel nuovo Documento di consenso per la gestione nel paziente fragile. Elementi chiave da acquisire per proteggere i pazienti più esposti ai rischi spesso fatali derivanti dall’antibiotico-resistenza, una delle maggiori criticità per la sanità pubblica a livello mondiale e particolarmente grave nel nostro Paese. Da qui il Documento di Consenso "Azioni condivise per il contrasto all’Antimicrobico resistenza nel paziente fragile", frutto del tavolo di confronto multi-disciplinare cui hanno preso parte i rappresentanti delle maggiori Società Scientifiche nell’ambito dell’infettivologia. Obiettivo comprendere quelle che sono ad oggi le priorità di azione per una migliore gestione del paziente fragile soggetto a resistenza batterica e che è colui che versa nella condizione più critica nonostante la presenza di modelli efficienti e terapie adeguate. Va innanzitutto migliorato il quadro regolatorio di accesso ai nuovi antibiotici, insieme alla definizione di linee guida nazionali sulla diagnostica, con criteri chiari che permettano a tutti gli ospedali di identificare le terapie corrette per i pazienti. Come conferma il professor Matteo Bassetti, Presidente della Società italiana di terapia antinfettiva e Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università di Genova: "Purtroppo l’Italia è in cima a tutte le classifiche per numero e per quantità di infezioni da batteri multiresistenti, c’è un report di due anni fa pubblicato da parte di Cassini in cui si fa vedere come siamo i primi per infezioni ospedaliere da germi multiresistenti agli antibiotici e primi come numero di morti. Bisogna quindi lavorare meglio cercando di usare meglio gli antibiotici, che non vuol dire non usarli ma usarli quando servono e usarli quando veramente funzionano e sono i farmaci migliori per quel paziente".
"Noi dobbiamo evidentemente fare un lavoro su due piani: da una parte cercare di evitare l’uso degli antibiotici quando non servano, ed oggi in epoca covid si è rivelato in maniera evidente. Dall’altra parte se ci sono dei nuovi antibiotici che funzionano meglio rispetto a quelli tradizionali questi nuovi antibiotici devono essere utilizzati. Purtroppo oggi questi antibiotici vengono approvati, magari in una piccola nicchia e invece ne ho bisogno per un’infezione in un altro distretto su un altro germe sul quale quell’antibiotico funziona. Bisognerebbe riuscire a far sì che questi nuovi antibiotici fossero usati tra virgolette sempre in maniera appropriata ma un pochino più estensivamente e liberamente almeno nei pazienti critici che abbiano un quadro in cui l’infezione può rivelarsi veramente mortale".
Nonostante vi siano oggi nuove opportunità terapeutiche che permetterebbero di salvare molte vite, si riscontrano dunque ancora molte barriere all’accesso ai nuovi antibiotici, nessuno dei quali ha ricevuto la cosiddetta innovatività, che riconosce le specificità proprie di queste molecole. Francesco Menichetti, Presidente del Gruppo italiano per la stewardship antimicrobica e Professore di Malattie Infettive presso l’Università di Pisa:
"Quella della resistenza antimicrobica è una emergenza sanitaria planetaria. Si stima che nel 2050 se non saremo in grado di metterci riparo avrà generato 50 milioni di morti, molti più che il cancro. Il problema è che la resistenza agli antibiotici è generata da due driver importanti: l’abuso di antibiotici che vengono utilizzati senza alcuna necessità, ultimo esempio proprio quello della pandemia di Covid-19, l’altro la mancanza di adesione alle buone pratiche assistenziali, che sono quelle che impediscono a un germe resistente di passare da un paziente a un altro".
"I nuovi antibiotici non sono alla portata di tutti, sono riservati ad alcuni specialisti e quindi si rischia che il paziente grave, fragile, possa essere deprivato di un importante presidio come appunto quello dei nuovi farmaci".
Per Menichetti urge quindi un intervento delle istituzioni: "Noi abbiamo sollecitato e ottenuto un incontro con il comitato tecnico-scientifico di Aifa per cercare di porre all’ordine del giorno il problema. I nuovi antibiotici non sono considerati farmaci innovativi e non ricevono quindi l’allocazione di risorse che hanno ricevuto altri farmaci, per esempio quelli contro l’epatite C. In più sono subordinati alla scheda Aifa che ne rende esclusivo l’uso allo specialista infettivologo o a un delegato del Cio e questo è un collo di bottiglia che può essere pericoloso per i pazienti fragili che in realtà possono essere osservati in qualunque ospedale, non solo in quelli che hanno la specialità infettivologica presente, a tutte le ore del giorno e della notte, tutti i giorni di tutto l’anno".