Bergamo 9 dic. (askanews) – Il secondo capitolo della trilogia di mostre dedicate alla materia che il direttore Lorenzo Giusti ha immaginato per la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo è dedicato alle trasformazioni. Il punto di partenza è la celebre affermazione di Lavoisier secondo la quale nella chimica nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Da qui il titolo "Nulla è perduto", che però fin da subito ci lascia supporre una portata più ampia del ragionamento, non limitato al principio di conservazione della materia. La mostra, curata da Giusti insieme ad Anna Daneri, affianca al taglio scientifico un ragionamento sull’alchimia, che, come testimoniato da opere straordinarie di Max Ernst o di Leonora Carrington, ha influenzato gli artisti anche in epoca moderna, soprattutto i surrealisti. Forse per questo ha senso sostenere che l’esposizione della GAMeC si apra in qualche modo con il "Calco dall’antico con guanto di gomma" di Giorgio de Chirico, replica del 1959 del "Canto d’amore" del 1914, che ripropone esplicitamente simboli alchemici per arrivare a una sorta di climax metafisico in una tempera su carta di Victor Brauner che indagava proprio la nascita della materia, secondo l’alchimia.
Da qui in avanti la mostra intreccia queste suggestioni con il tema della trasformazione, e lo fa con sezioni dedicate ai quattro elementi, che poi rappresentano anche gli stati della materia: aria, terra, fuoco e acqua. Per lo spettatore si tratta di passare attraverso una serie impressionante di lavori, storici e più recenti, che mostrano quanto la trasformazione sia parte essenziale dell’arte contemporanea, forse addirittura di più di quanto saremmo disposti ad ammettere. E se un genio del Novecento come Yves Klein, con le sue cosmogonie, con i suoi monocromi d’oro, con i suoi dipinti di fuoco e con un gesso inconfondibilmente blu, è una sorta di nume tutelare dell’intero progetto, nelle sale della GAMeC si incontrano, per esempio, il "Large Condensation Cube" di Hans Haacke, storico lavoro degli anni Sessanta, accanto alle fotografie realizzate senza macchina fotografica, ma solo esponendo la carta alla luce, di Wolfgang Tillmans o alle sculture di schiuma di poliuretano espanso di Alessandro Biggio. E ancora le tele di Edith Dekyndt, che mette vari materiali sulla tela e ne documenta la reazione, con esiti pittorici in alcuni casi stupefacenti, oppure il "Roveto ardente" di Rebecca Horn, che trasforma in una vera e propria macchina l’arbusto nel quale Mosè vide Dio. Ci sono poi altri pezzi straordinari, come i coralli di Robert Smithson o gli acquerelli realizzati sciogliendo frammenti della calotta polare da Olafur Eliasson: opere che rimandano prepotentemente, così come fa la neve raccolta in un freezer e conservata per anni da Roman Singer, al tema dell’emergenza climatica che stiamo vivendo. Ovviamente la mostra della GAMeC non parla solo di questo, ma è dichiarato dagli stessi curatori che il senso di "Nulla è perduto" vuole abbracciare anche una dimensione di ecologia, nel senso di Gregory Bateson: possiamo ancora farcela, sembra dirci l’arte, a patto di fermarci e non usurpare ulteriormente lo spazio della natura. In fondo intorno a questa idea in un certo senso ruotano praticamente tutte le opere della mostra.
Un ultimo appunto: a colpire, giorni dopo avere visitato la mostra, una volta che anche le nostre sensazioni si sono sedimentate come elementi naturali, è la qualità curatoriale del progetto, l’attenzione e il ragionamento su ogni singola opera, ma soprattutto l’amore, se così possiamo dire, per ogni pezzo esposto. Tutte caratteristiche che portano a un’idea di "serietà" del lavoro che forse a qualcuno potrà anche sembrare inattuale, ma che a noi pare essere la forza profonda di un museo come la GAMeC e dell’idea culturale che porta avanti.
(Leonardo Merlini)
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