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L’11 agosto del 2014, l’amatissimo divo del cinema Robin Williams viene rinvenuto dai vigili del fuoco nella sua casa in California e dichiarato morto due minuti dopo. Ciò che sorprende l’opinione pubblica, ancor più della notizia del decesso, è la causa descritta nel referto legale: l’attore che più di tanti altri aveva portato sugli schermi l’amore e la gioia di vivere, si è suicidato impiccandosi con una cintura.
Il pensiero di tutti è corso indietro nel tempo, fra le tante, indelebili immagini dei suoi lavori accompagnate da strani suoni come “Nanu-nanu”, o urla come “Gooood morning, Vietnam!”, oppure bisbigli come “Carpe… diem…”. L’esuberanza attoriale di questo folletto di Hollywood ci aveva accompagnato per decenni in mille modi diversi, ma tutti riconducibili ad un unico filo conduttore: quello di una esplosiva vitalità. Le capacità di Williams di cambiare repentinamente mimica e vocalità, di passare con grazia e leggerezza su temi forti, di far emergere i lati comici dalle situazioni tragiche, ne avevano fatto un caso unico nel panorama dello star-system hollywoodiano.
E proprio queste capacità lo rendevano perfetto per pellicole ad alto impatto emotivo, indelebilmente entrate nel nostro immaginario collettivo: chi di noi riesce a non piangere guardando i suoi occhi mentre viene salutato dai suoi alunni in piedi sui banchi, ne “L’attimo fuggente”? Film sicuramente strappalacrime, così come “Risvegli”, “La leggenda del re pescatore” e “Al di là dei sogni”, ma un conto è produrre una pellicola che susciti facile commozione, altra cosa è riuscire a strapparle davvero le lacrime, anche al più disincantato degli spettatori. E in questo, Robin Williams non era sicuramente secondo a nessuno.
Quello che invece non sapevamo di lui, è un’amara scoperta che l’attore fece tempo prima di lasciarci. La DLB. Ovvero Demenza da corpi di Lewy. Una diagnosi feroce. Un cocktail letale delle malattie neurovegetative di Parkinson e Alzheimer. La DLB causa progressivamente tremori e disturbi motori, allucinazioni e un rapido decadimento cognitivo; bassissima l’aspettativa di vita.
Il pubblico ha sempre concesso a Williams il beneficio del dubbio nelle tante traversie della sua vita privata, perché comunque viene difficile a tutti distinguere l’uomo dal personaggio, pur riconoscendo l’assurdità di questa trasposizione. Perciò, nessuno si è mai preoccupato più di tanto della sua indole solitaria in gioventù, o della sua turbolenta vita amorosa, o dei drammi vissuti con i suoi amici John Belushi e Christopher Reeve. In fin dei conti, un personaggio pubblico è sempre e solo ciò che ci viene rappresentato. E un pagliaccio, si sa, deve ridere. E far ridere.
È sicuramente difficile scusare o giustificare un suicidio; ma chissà, almeno possiamo tentare di pensare all’atto finale di Robin con lo stesso sentimento che lui riusciva mirabilmente a infondere nei suoi personaggi: una profonda “pietas” nei confronti dell’uomo, ancor meglio se accompagnata dal suo sorriso da eterno monello.
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