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SCENE – Anatomia di un crimine (Puntata 2) | Lo sguardo di Filippo Turetta

A prima vista, Filippo Turetta non desta sospetti. La timidezza, l’aria insicura, dipingono il ritratto di un ragazzo fragile, quasi trasparente. Ma dietro questa facciata di normalità si nasconde una mente oscura: quella di un narcisista covert. Non urla la sua superiorità, non la esibisce con arroganza. La cela dietro uno scudo di vulnerabilità apparente. Ma dentro di sé, Turetta si sente speciale, convinto che il mondo gli debba molto di più di quanto gli abbia concesso. La ferita che ha subìto, quella frustrazione profonda per i successi di Giulia Cecchettin, ha alimentato una vendetta silenziosa ma letale. Non poteva accettare che lei lo superasse, che la sua vita potesse sfuggirgli di mano. E così, ha cercato di riprendere il controllo.

Manca una settimana esatta alla prossima udienza e la scelta della difesa di non richiedere una perizia psichiatrica sembra voler suggerire che non ci siano spiegazioni cliniche o attenuanti per il suo comportamento. Ciò che ha fatto, lo ha fatto in piena consapevolezza. Ma se le parole tentano di costruire un’immagine coerente, è il linguaggio del corpo dell’assassino a raccontare una verità più profonda e disturbante. Durante l’interrogatorio trasmesso da Quarto Grado, il suo corpo ha parlato più forte di quanto le sue parole avrebbero mai potuto fare. Non una lacrima è scesa mentre ricostruiva i colpi inferti a Giulia. Con una penna in mano, ha simulato quei gesti letali con una precisione quasi meccanica, mantenendo il volto impassibile. Nessuna traccia di rimorso, nessun cenno di umanità.

L’analisi della criminologa Anna Vagli continua su quotidiano.net🔗

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