“Un reality show terrificante” (P. Badaloni)
10 giugno 1981 – Rientrando la sera verso casa a Vermicino, borgata a cavallo tra Roma e Frascati, il dipendente Acea Ferdinando Rampi permette al figlio di 6 anni di tagliare per i campi. Nel tragitto, Alfredino cade in un pozzo artesiano profondo circa 80 metri, dove troverà la morte dopo 3 interminabili giorni di agonia e di falliti tentativi di salvarlo.
Quella tragedia, ancora ben presente nella memoria collettiva degli italiani che la vissero, oltre ad essere straziante per la famiglia (nella foto di copertina, la madre di Alfredino), assunse anche un altro importante significato: la diretta televisiva segnò l’inizio di quella che oggi chiamiamo “tv del dolore”, pur se involontaria in questo primo eclatante caso.
La Rai di quei tempi aveva una linea di condotta ben diversa dalla morale comune odierna; era perciò tutto sommato recalcitrante alla copertura di eventi tragici, se non in differita e in sintesi. A Vermicino, invece, la diretta non-stop coprì le ultime 18 ore di vita di Alfredino e i vani tentativi di soccorso, con una trasmissione a reti praticamente unificate davvero senza precedenti che coinvolse ben 28 milioni di telespettatori. Tre le cause più probabili di questa scelta della RAI:
- il grave errore di valutazione del comandante dei Vigili del Fuoco, che incautamente dichiarò che l’incidente si sarebbe facilmente risolto;
- la logistica, vista la vicinanza del sito alla sede centrale della Rai;
- le pressioni di alcuni ambienti governativi a non interrompere la diretta (secondo alcuni per la presenza sul posto dell’amato Presidente Pertini, secondo altri per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da notizie come lo scandalo della loggia massonica P2).
Ciò che di certo si può affermare, come ebbe a dire il conduttore del TG2 Santalmassi, è che “volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte (…) Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo”.