Milano, 22 feb. (askanews) – "Milano era una città che stava vivendo un momento di grande espansione, dava molte opportunità non solo alla grande finanza ma anche ai cittadini che in qualche modo riuscivano a usufruire di questa ricchezza che circolava, con tanti lavoretti e lavori nuovi che arrivavano. Improvvisamente tutto questo ha messo a nudo le fragilità che stavano sotto". A un anno dalla scoperta del primo caso di covid 19 in Italia, abbiamo chiesto al direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, di raccontarci l’altro lato della crisi sanitaria: quello economico-sociale, che ha portato a nuove povertà, allungato le file di chi chiedeva aiuto per pagare bollette e affitto, aumentato il numero di chi si è rivolto agli Empori della solidarietà per fare a spesa.
"Quelli che erano ricchi, quelli che avevano una casa di proprietà, una casa adeguata per fare didattica a distanza per i loro figli piuttosto che avevano appunto dei risparmi o avevano un lavoro garantito tutto sommato sono riusciti ad andare avanti in maniera dignitosa – ha raccontato Gualzetti – poi la novità del lockdown, il cantare sui balconi, la solidarietà tra vicini, chiaramente ha avuto anche qualche aspetto che all’inizio affascinato e ha emozionato però noi ci siamo accorti che dopo due tre settimane c’erano molte persone che facevano la fila nei nostri empori, ai centri d’ascolto chiedevano una mano per pagare l’affitto perché non avevano più i soldi, avevano a casa i bambini da scuola e questi bambini non mangiavano più il pasto completo che prima era garantito dalla mensa scolastica… tutta una serie di di difficoltà che improvvisamente e immediatamente noi abbiamo registrato".
"Abbiamo dovuto in qualche modo soccorrere o aiutare persone che appunto non avevano più un reddito, la capacità di arrivare alla fine del mese – ha sottolineato il direttore della Caritas Ambrosiana – e qui c’è un segmento di ceto medio che non aveva tutte le garanzie non aveva tutte le garanzie e le tutele che noi magari diamo per scontato nel mondo del lavoro piuttosto che di accesso a una casa dignitosa, in una città ovviamente molto costosa dal punto di vista del tenore di vita per il costo della casa e per gli acquisti dei generi di prima necessità".
Ma da dove può e deve ripartire Milano dopo questo lungo anno di pandemia? "Noi non possiamo chiudere gli occhi su quello che è successo, non possiamo sperare che una volta passata perché sono vaccinati tutti, perché poi non c’è più pericolo, allora ritorniamo a fare le cose prima. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare i nodi che sono emersi – ha avvertito Gualzetti – La Caritas intercetta ovviamente le vittime, quelle che soffrono, quelle che rimangono indietro e per fortuna possiamo segnalare come indicatori di qualcosa che non va. Non siamo quelli che vogliamo dire che le cose non vanno a tutti i costi, però se c’è qualcosa che non va va affrontato perché conviene a tutti, conviene anche una Milano che vuole ritornare a crescere, a diventare la prima e non avere tra i propri cittadini qualcuno che non ce la fa arrivare alla fine del mese, qualcuno che rimane solo in casa perché c’è l’ascensore rotto nella casa popolare o sul pianerottolo non va la luce e in strada non è sicuro perché non c’è l’illuminazione". "Queste indicazioni che sono emerse dal Covid-19 saremmo stupidi, stolti se non le cogliessimo e non le affrontassimo – ha rimarcato – Quindi Milano è condannata ad affrontarli, in senso buono, cioè dovrebbe vedere questo come una sfida: esattamente come c’è la sfida per ritornare a far crescere il Pil c’è anche la sfida di investire sulle povertà perché questo porta benessere a quei poveri ma porta benessere anche a tutta la comunità perché tu reincludi quei poveri e quelle persone in difficoltà in un sistema economico che chiaramente porta ricchezza a tutti, ma anche in un sistema relazionale di fiducia reciproca che è quello che poi serve per una convivenza che abbia la speranza di costruire qualcosa nel futuro".