Torino, 15 feb. (askanews) – Un grande ring, installazioni a pavimento, composizioni visuali. Alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, dopo le chiusure per la pandemia, si prova a parlare di pittura e lo si fa in modo, ovviamente, adeguato alla tipologia di spazio espositivo, con la mostra "Cut a bug a round square", curata dall’artista americana Jessica Stockholder. A presentarci il progetto il curatore delle OGR, nonché mente brillante del contemporaneo, Samuele Piazza.
"La scelta di fare una mostra di pittura in OGR – ha spiegato ad askanews – era una sfida, in primis perché non abbiamo le pareti bianche su cui normalmente siamo abituati a vedere la pittura, non siamo uno spazio da galleria, siamo l’opposto di un white cube, e in effetti la scelta di lavorare con un’artista come Jessica Stockholder è stata proprio per avere una visione eccentrica rispetto a quello che può essere un dialogo sulla pittura. Lei nasce come pittrice, ma presto abbandona la pittura intesa in senso più letterale per andare a espandere il proprio linguaggio verso forme installative".
E anche le opere proposte in mostra, da Mona Hatoum a Monica Bonvicini, da Marlene Dumas alla stessa Stockholder, contribuiscono, complice l’allestimento, ad aprire nuovi spazi di pensiero nei confronti dell’idea stessa di pittura o, meglio, del nostro modo di pensare a questa pratica di cui si annuncia periodicamente la morte, salvo poi stupirsi di nuovo per la scoperta di un altro grande dipinto. E il gioco, in OGR, è quello di sfidare i limiti del nostro abituale modo di stare di fronte alla pittura.
"I limiti di quello che viene inteso come pittura vengono espansi in maniera secondo noi produttiva – ha aggiunto Samuele Piazza – e per uno spazio come questo che ha spesso riflettuto sull’idea di installazione è un’aggiunta al ventaglio di possibilità".
La mostra, realizzata dalla Fondazione CRT in collaborazione con la collezione "la Caixa" di Barcellona, somiglia a una conversazione multipla, nella quale sembra che ciascun partecipante racconti cose diverse, talvolta perfino astruse, ma in realtà, ascoltando meglio, ci si accorge che il discorso è coerente e, soprattutto, stimolante. Sia come semplice dispositivo artistico, sia come attivatore di riflessioni sul medium pittorico e sul modo in cui questo può vivere anche in uno spazio stratificato e complesso come quello dell’ex fabbrica torinese.
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